“Ferrari”, la storia di un uomo che ha realizzato un mito.


Chi era Enzo Ferrari? Un uomo forte in un mondo patriarcale, con la camicia e le bretelle, i capelli brizzolati e un incedere deciso, virile, ma anche una persona fragile, perché Enzo Ferrari aveva molti segreti e molti difetti, che lo rendono umano pur nella sua grandezza. Il film Ferrari (2023) di Brock Yates ci racconta solo uno spaccato della vita dell’imprenditore di una delle aziende più importanti d’Italia, rinomata a livello internazionale e oggetto di culto per gli appassionati. Ispirato a 1991 Enzo Ferrari: The Man and the Machine, l’opera fotografa un momento cruciale della vita dell’ex pilota (Adam Driver): il riconoscimento del figlio illegittimo, la separazione dalla moglie (una bella, folle di rancore e dalla camminata nevrotica Penelope Crux), e la strage di Guidizzolo, che ha sancito pesanti modifiche nell’organizzazione della Mille Miglia e delle corse in generale.

La trama non prevede un antagonista o un rivale per l’eroe di simili gesta, sebbene si senta nominare in sottofondo il marchio della Maserati, perché si tratta di un film drammatico che vuole scavare nella psicologia e nei tormenti di un uomo epico, pur essendo una persona ordinaria ma complessa, il cui segreto del successo è semplicemente osare e rinchiudere nel profondo i morti che gravano sulla sua coscienza: i piloti morivano per scarse misure di sicurezza, guasti alle automobili o errori durante la guida, un grosso fardello per un semplice essere umano ma non sufficiente a far rinunciare alle corse Enzo Ferrari. Il peso più grande consiste nella morte per distrofia del figlio maggiore, l’erede dell’impero, da cui il protagonista troverà conforto nel figlio illegittimo. Il tema della morte è rappresentato anche attraverso la fotografia, che inquadra cimiteri e chiese.

L’atmosfera è non soltanto funebre, ma anche profondamente patriarcale: gli uomini al comando, le donne nelle retrovie, bellissime nei costumi anni Cinquanta; gli eroici piloti e i ricchi imprenditori potevano infatti permettersi le fanciulle più affascinanti. Il regista poteva fare altrimenti: prima del Sessantotto era questo il destino delle donne e il mondo delle automobili è da sempre stato dominio maschile, perciò non è forse il caso di rivolgere una critica femminista a un film che mostra solo la verità; inoltre la telecamera si sofferma anche sul destino di mogli, amanti e fidanzate, donne che, da dietro le quinte, controllano e influenzano il destino dei partner e distraggono i fotografi dai veicoli durante le corse.

Gli anni Cinquanta sono stati rappresentati con estrema cura e l’Italia viene ricostruita con ammirazione e rispetto, senza risultare una macchietta come in The house of Gucci. Nella versione originale troviamo anche alcune battute in italiano, in cui la pronuncia è risultata fedele e di gradevole effetto. La fedeltà all’epoca storica si riscontra non soltanto nei bellissimi costumi, ma anche nella rappresentazione delle auto d’epoca, che indubbiamente gli appassionati avranno apprezzato. E’ lodevole soprattutto l’opera degli esperti di rumoristica, che hanno conferito alle automobili un rombo quasi musicale, ricco di storia e nostalgia per le auto d’epoca. L’automobile è poesia, si evince dai continui riferimenti al metallo e dal sermone del prete agli operai, un’esaltazione della professione del meccanico dal sapore Futurista. Siamo inoltre abituati a vedere le corse dell’epoca in bianco e nero, questo film tinge invece le vetture di un vivace, aggressivo e sanguigno colore rosso fiammante, trasformando il passato in presente.

La sola pecca del film è il ritmo della narrazione lineare, privo di colpi di scena e suspense. Le corse di automobili offrivano al regista l’occasione per aggiungere alla trama un po’ di adrenalina e tensione, ma i veicoli vengono presentati come dei gioielli: luccicanti ma immobili, eroici ma prive di potenza. D’altro canto è difficile considerare un prodigio di velocità e tecnologia un modello antico di settant’anni, perciò i registi hanno puntato sull’eleganza della vettura. Anche l’assenza di un villain pesa sulla pellicola; si respira solo la difficoltà di vivere pur trovandosi al centro della storia dell’automobile.



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About Me

Mi chiamo Valeria Vite e sono una professoressa di Lettere classe 1992, con la passione per il giornalismo amatoriale. Potete trovarmi nella mia camera a tradurre latino o greco, oppure a teatro, al cinema o immersa in qualche libro. Se posso viaggio o visito dei musei. I miei amici dicono che sono un po’ pazza e probabilmente hanno ragione.

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